venerdì 20 giugno 2025

VENERDÌ DELLA XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 6,19-23

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.

La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!».

... dov’è il tuo tesoro, quello che tu desideri? – perché Gesù ci ha detto: Dov’è il vostro tesoro, là sarà il vostro cuore – e io domando: dov’è il tuo tesoro? Qual’é per te la realtà più importante, più preziosa, la realtà che attrae il mio cuore come una calamita? Cosa attrae il tuo cuore? Posso dire che è l’amore di Dio? C’è la voglia di fare il bene agli altri, di vivere per il Signore e per i nostri fratelli? Posso dire questo? Ognuno risponde nel suo cuore. Ma qualcuno può dirmi: Padre, ma io sono uno che lavora, che ha famiglia, per me la realtà più importante è mandare avanti la mia famiglia, il lavoro… Certo, è vero, è importante. Ma qual è la forza che tiene unita la famiglia? È proprio l’amore, e chi semina l’amore nel nostro cuore è Dio, l’amore di Dio, è proprio l’amore di Dio che dà senso ai piccoli impegni quotidiani e anche aiuta ad affrontare le grandi prove. Questo è il vero tesoro dell’uomo. Andare avanti nella vita con amore, con quell’amore che il Signore ha seminato nel cuore, con l’amore di Dio. E questo è il vero tesoro. (Papa Francesco - Angelus, 11 agosto 2013)

giovedì 19 giugno 2025

GIOVEDÌ DELLA XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 6,7-15

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.

Voi dunque pregate così:

Padre nostro che sei nei cieli,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno,

sia fatta la tua volontà,

come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

e rimetti a noi i nostri debiti

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,

e non abbandonarci alla tentazione,

ma liberaci dal male.

Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

Dal trattato «Sul Padre nostro» di san Cipriano, vescovo e martire

Dicendo la preghiera del Signore, noi chiediamo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Ciò può essere inteso sia in senso spirituale che in senso materiale, poiché l’uno e l’altro significato, nell’economia divina, serve per la salvezza. Infatti il pane di vita è Cristo, e questo pane non è di tutti, ma certo nostro lo è. E come diciamo «Padre nostro», perché è Padre di coloro che intendono e credono, così invochiamo anche il «pane nostro», poiché Cristo è pane di coloro che come noi assumono il suo corpo.

Chiediamo quindi che ogni giorno ci sia dato questo pane. Noi viviamo in Cristo e riceviamo ogni giorno la sua Eucaristia come cibo di salvezza. Non accada che, a causa di peccati gravi, ci venga negato il pane celeste, e così, privati della comunione, veniamo anche separati dal corpo di Cristo. Egli stesso ha proclamato infatti: Io sono il pane di vita, che sono disceso dal cielo. Se uno mangerà del mio pane, vivrà in eterno. E il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo (cfr. Gv 6, 51).

Dice che se qualcuno mangerà del suo pane vivrà in eterno. È evidente dunque che vivono coloro che gustano il suo corpo e ricevono l’Eucaristia per diritto di comunione. Da ciò si deduce che se qualcuno si astiene dall’Eucaristia si separa dal corpo di Cristo, e rimane lontano dalla salvezza. È un fatto di cui preoccuparsi. Preghiamo il Signore che non avvenga. È lui stesso che pronunzia questa minaccia, dicendo: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi (cfr. Gv 6, 53). Per questo chiediamo che ci sia dato ogni giorno il nostro pane, cioè Cristo, perché noi che rimaniamo e viviamo in Cristo, non ci allontaniamo dalla sua vita divina.

Dopo queste cose preghiamo anche per i nostri peccati, dicendo: «E rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Dopo aver chiesto il sussidio del cibo, chiediamo pure perdono delle colpe.

Come è davvero necessario, e come è prudente e salutare essere avvertiti che siamo peccatori, ed essere spinti a pregare per i nostri peccati! In tal modo, mentre chiediamo il perdono a Dio, l’animo fa riemergere la consapevolezza di sé. E perché non avvenga che qualcuno si compiaccia come se fosse senza colpe e, salendo in alto, non abbia a cadere più rovinosamente, viene istruito e ammaestrato che egli pecca ogni giorno, e perciò gli si comanda di pregare ogni giorno per i peccati.

Così ammonisce anche Giovanni nella sua lettera, dicendo: Se diremo che non abbiamo alcun peccato, ci inganniamo da noi stessi, e non c’è in noi la verità. Se invece confesseremo i nostri peccati, il Signore è fedele e giusto, e ci rimette i peccati (cfr. 1 Gv 1, 8). Nella sua lettera ha unito assieme l’una e l’altra cosa: che noi dobbiamo pregare per i nostri peccati e che otteniamo indulgenza quando preghiamo. Con questo, ha anche chiamato fedele il Signore perché mantiene fede alla sua promessa di rimetterci i peccati. Colui infatti che ci ha insegnato a pregare per i debiti e le colpe, ha promesso la sua paterna misericordia e il suo perdono.

mercoledì 18 giugno 2025

MERCOLEDÌ DELLA XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 6,1-6.16-18

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c'è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.

Dunque, quando fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un'aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

Dal trattato «Sul Padre nostro» di san Cipriano, vescovo e martire

«Venga il tuo regno». Domandiamo che venga a noi il regno di Dio, così come chiediamo che sia santificato in noi il suo nome. Ma ci può essere un tempo in cui Dio non regna? O quando presso di lui può cominciare ciò che sempre fu e mai cessò di esistere? Non è questo che noi chiediamo, ma piuttosto che venga il nostro regno, quello che Dio ci ha promesso, e che ci è stato acquistato dal sangue e dalla passione di Cristo, perché noi, che prima siamo stati schiavi del mondo, possiamo in seguito regnare sotto la signoria di Cristo. Così egli stesso promette, dicendo: «Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25, 34).

In verità, fratelli carissimi, lo stesso Cristo può essere il regno di Dio di cui ogni giorno chiediamo la venuta, di cui desideriamo vedere, al più presto, l’arrivo per noi. Egli infatti è la risurrezione, poiché in lui risorgiamo. Per questo egli può essere inteso come il regno di Dio, giacché in lui regneremo. Giustamente dunque chiediamo il regno di Dio, cioè il regno celeste, poiché vi è anche un regno terrestre. Ma chi ha ormai rinunziato al mondo del male, è superiore tanto ai suoi onori quanto al suo regno.

Proseguendo nella preghiera diciamo: «Sia fatta la tua volontà in cielo e in terra», non tanto perché faccia Dio ciò che vuole, ma perché possiamo fare noi ciò che Dio vuole. Infatti chi è capace di impedire a Dio di fare ciò che vuole? Siamo noi invece che non facciamo ciò che Dio vuole, perché contro di noi si alza il diavolo ad impedirci di orientare il nostro cuore e le nostre azioni secondo il volere divino. Per questo preghiamo e chiediamo che si faccia in noi la volontà di Dio. E perché questa si faccia in noi abbiamo bisogno della volontà di Dio, cioè della sua potenza e protezione, poiché nessuno è forte per le proprie forze, ma lo diviene per la benevolenza e la misericordia di Dio. Infine anche il Signore, mostrando che anche in lui c’era la debolezza propria dell’uomo, disse: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!» (Mt 26, 39). E offrendo l’esempio ai suoi discepoli perché non facessero la volontà loro, ma quella di Dio, aggiunse: «Però non come voglio io, ma come vuoi tu».

La volontà di Dio dunque è quella che Cristo ha eseguito e ha insegnato. È umiltà nella conversazione, fermezza nella fede, discrezione nelle parole, nelle azioni giustizia, nelle opere misericordia, nei costumi severità. Volontà di Dio è non fare dei torti e tollerare il torto subito, mantenere la pace con i fratelli, amare Dio con tutto il cuore, amarlo in quanto è Padre, temerlo in quanto è Dio, nulla assolutamente anteporre a Cristo, poiché neppure lui ha preferito qualcosa a noi. Volontà di Dio è stare inseparabilmente uniti al suo amore, rimanere accanto alla sua croce con coraggio e forza, dargli ferma testimonianza quando è in discussione il suo nome e il suo onore, mostrare sicurezza della buona causa, quando ci battiamo per lui, accettare con lieto animo la morte quando essa verrà per portarci al premio.

Questo significa voler essere coeredi di Cristo, questo è fare il comando di Dio, questo è adempiere la volontà del Padre.

martedì 17 giugno 2025

MARTEDÌ DELLA XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 5,43-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.

Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?

Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Perché Gesù chiede di amare i propri nemici, cioè un amore che eccede le capacità umane? In realtà, la proposta di Cristo è realistica, perché tiene conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo "di più" viene da Dio: è la sua misericordia, che si è fatta carne in Gesù e che sola può "sbilanciare" il mondo dal male verso il bene, a partire da quel piccolo e decisivo "mondo" che è il cuore dell’uomo.

Giustamente questa pagina evangelica viene considerata la magna charta della nonviolenza cristiana, che non consiste nell’arrendersi al male – secondo una falsa interpretazione del "porgere l’altra guancia" – ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia. Si comprende allora che la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. (Benedetto XVI – Angelus, 18 febbraio 2007)

lunedì 16 giugno 2025

LUNEDÌ DELLA XI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 5,38-42

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Avete inteso che fu detto: "Occhio per occhio" e "dente per dente". Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.

E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due.

Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle».

Il Discorso della montagna, come è riportato da Matteo, è il luogo del Nuovo Testamento dove si vede affermato chiaramente ed esercitato decisamente da Gesù il potere sulla Legge che Israele ha ricevuto da Dio come cardine dell’alleanza. […]

La nuova legge da lui portata ha la sua sintesi nell’amore. Quest’amore farà superare all’uomo nei suoi rapporti con gli altri la classica contrapposizione amico-nemico, e tenderà all’interno dei cuori a tradursi in corrispondenti forme di solidarietà sociale e politica, anche istituzionalizzata. Sarà dunque molto ampia, nella storia l’irradiazione del “comandamento nuovo” di Gesù.

In questo momento ci preme soprattutto rilevare che nei brani importanti del “Discorso della montagna”, si ripete la contrapposizione: “Avete inteso che fu detto . . . Ma io vi dico”; e questo non per “abolire” la Legge divina dell’antica alleanza, ma per indicarne il “perfetto compimento”, secondo il suo senso inteso da Dio-Legislatore, che Gesù illumina di luce nuova e spiega in tutto il suo valore realizzativo di nuova vita e generatore di nuova storia: e lo fa attribuendosi un’autorità che è quella stessa del Dio-Legislatore. Si può dire che in quella sua espressione ripetuta sei volte: Io vi dico, risuona l’eco di quell’autodefinizione di Dio, che Gesù si è pure attribuita: “Io Sono. Io vi dico, io Sono” (cf. Gv 8, 58). (San Giovanni Paolo II – Udienza generale, mercoledì 14 ottobre 1987)

domenica 15 giugno 2025

SANTISSIMA TRINITÀ - SOLENNITÀ - ANNO C

Gv 16,12-15

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:

«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.

Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.

Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Il Padre - il Figlio - lo Spirito Santo. Divina Unità della Trinità. Cristo ha pronunziato questo mistero con parole umane. E l’ha lasciato allo Spirito Santo, alla sua venuta: “Quando . . . verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16, 13). Ciascuno di noi è introdotto in questa “verità tutta intera” già mediante il Battesimo. Viviamo di questa verità quotidianamente, quando iniziamo la preghiera o il lavoro “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Perché, pronunziando con queste parole il nome dell’inscrutabile mistero divino, il nome del Dio vivente che È, facciamo nello stesso tempo, sulla nostra fronte, sulle spalle e sul cuore, il segno della Croce? Perché la Croce è l’ultima parola del mistero trinitario di Dio nella storia della salvezza del genere umano. Quando Cristo dice dello Spirito Santo: “prenderà del mio e ve l’annunzierà”, queste parole si riferiscono in modo particolare al sacrificio della Croce. Il Dio vivente è entrato definitivamente nella storia del creato, nella storia dell’uomo, proprio mediante questo sacrificio. L’uomo, guardando l’architettura del cosmo, si addentra nelle profondità dell’eterna Sapienza del Creatore. L’uomo, guardando la Croce, conosce l’amore che penetra questa Sapienza e tutta la sua opera. Conosce l’amore che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (cf. Rm 5, 5). Conosce che “Dio è amore” (1 Gv 4, 16). (San Giovanni Paolo II – Visita pastorale alla diocesi di Grossetto, Omelia, 21 maggio 1989)

sabato 14 giugno 2025

SABATO DELLA X SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Mt 5,33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”; “No, no”; il di più viene dal Maligno».

Essere liberi – secondo il programma di Cristo e del suo Regno – non vuol dire godimento ma fatica: la fatica della libertà. A prezzo di questa fatica l’uomo “non disperde”, ma insieme con Cristo “raccoglie”. A prezzo di questa fatica l’uomo ottiene anche in se stesso quell’unità, che è propria del Regno di Dio. […] Miei cari amici! Questa unità è il vostro compito particolare, se non volete cedere, se non volete arrendervi all’unità di quell’altro programma, quello che cerca di realizzare nel mondo, nell’umanità, nella nostra generazione e in ognuno di noi, colui che la Sacra Scrittura chiama anche “padre della menzogna” (Gv 8,44). […] Imparate a pensare, a parlare, ad agire secondo i principi della semplicità e della chiarezza evangelica: “Si, si, no, no”. Imparate a chiamare bianco il bianco, e nero il nero – male il male, e bene il bene. Imparate a chiamare peccato il peccato, e non chiamatelo liberazione o progresso, anche se tutta la moda e la propaganda ne fossero contrarie. Mediante tale semplicità e tale chiarezza si costruisce l’unità del Regno di Dio. Questa unità è nello stesso tempo una matura unità interiore di ogni uomo, è il fondamento dell’unità dei coniugi e delle famiglie, è la forza delle società che forse già sentono, e sentono sempre meglio, come si cerca di distruggerle e di scomporle dal di dentro, chiamando male il bene, e peccato la manifestazione del progresso e della liberazione. (San Giovanni Paolo II – Omelia per gli studenti universitari in preparazione della Pasqua, 26 marzo 1981)